Sunday, 18 November 2012

"One City Block": the future of RPGs or a far flung utopia?

In very recent times, I stumbled upon an idea by Warren Spector (Deus Ex, Epic Mickey) known in the game development circles as One City Block RPG. The best definition comes from its own creator:

"My ultimate dream is about finding someone fool enough to bankroll the creation of what I call a One City Block RPG, where we simulate a building or a small neighborhood in the greatest detail. I strongly long for worlds with deep interactions. My ultimate game would take place in a single neighborhood, and I'll get to do it one day or another."


In other words, according to Spector, simulating every single detail of the reality and life of a definite space (like a building, for instance) would be more than enough to sustain a high level RPG experience. It's a mighty interesting concept, as it envisions highly interactive stages where every single action the player does, even the most trivial one, can lead to enormous consequences on the surrounding context: the player would be given the chance to manipulate each and every single object in the world at his leisure, in their normal functions or in creative and unusual ways. The same goes for social interactions, with non playing characters (NPCs) able to respond to the player's interactions according to fully simulated personalities and behaviours.

This kind of description immediately sets the One City Block RPG up as a system where a considerable amount of procedural processes takes place within the general boundaries established by the authors (the rules of the world and the goals of the game), generating for the most part unpredictable events. It's a system that implies and glorifies the so called 'emergent narrative' (*) as a mean to diversify and branch out the game experience. Previous examples shows that this is a viable solution (I think about the Radiant AI algorithm used in Bethesda's role playing games, though still limited to the creation of small linear subplots hinged on small sets of variables).

On the other hand, waiting for research to get to a point where deep, rich and nuanced plots can be generated automatically, and in financial compatibility with both the budgets of AAA productions and the final retail price, doesn't seem as viable. The main concerns are that such an achievement may be dozens of years away, with devaluation of human literary talent as an unpleasant side effect, which is certainly not among Spector's desires. A realistic One City Block RPG will have to make do with "simply" marrying the procedurality of its simulations and the high granularity of the interactions with story elements provided by a writer, ensuring the necessary narrative quality, with stricter rules for the game's world.

Luckily enough, Warren Spector is not the only one researching the One City Block RPG - on the contrary, he's at risk of being predated. France based Arkane Studios has stated that similar principles lays at the heart of Arx Fatalis (2002 - PC, Xbox), and more recently, Quantic Dream got remarkably close to the idea with its sandbox adventure Heavy Rain (2010 - PS3). The Yakuza series contitutes a far approximation. Furthermore, 2013 will see Fullbright Company releasing Gone Home, a project solely based on exploration of a solitary, deserted mansion; environmental interaction will be the only way to unravel its mysteries.

* Under the name of 'emergent narrative' goes the events caused by the user's interaction with certain automatisms implemented in the game software. As the effects are entirely dependent on the player's actions, they are not always predictable by the designers and thus constitutes a new, 'emergent' story.

Friday, 16 November 2012

Paura di lasciarsi stupire, Mr. Pachter? [Nintendo WiiU]

"Nintendo deve semplicemente smetterla di vivere nel passato, siamo nel 2012. Hanno avuto un grande successo dal 1985 in poi, producendo hardware proprietari e supportandoli con software proprietari. Hanno attratto le terze parti sulla scorta della base installata che sono riusciti ad ottenere. Ed ora mi sembrano convinti che "se siamo noi a costruirlo, le terze parti daranno il loro supporto",  ma non credo che con WiiU andrà così. Provando ad essere alternativi con il loro tablet controller, hanno complicato il processo di game design per gli sviluppatori, che ancora non sanno se la macchina supporterà solo uno o più controller.

Nintendo ha creato un dispositivo unico a sufficienza da alienarsi già in partenza il supporto delle terze parti al lancio, e questo significa scarse vendite. Dovrebbero rinunciare alla strategia che li ha portati sin qui, perchè oggi non sembra più funzionare. Credo che debbano guardare al di fuori di sé stessi per capire come avere successo nel settore dei download digitali, delle interfacce user-friendly e del gioco in multiplayer."



Leggendo questo commento di Michael Pachter, analista dell'istituto Wedbush Morgan ironicamente noto come "il Nostradamus della gaming industry", non posso fare a meno di rilevare come anche individui calati giornalmente nella realtà economica del videogiochi interpretino in maniera opinabile - o sottovalutino del tutto - due elementi di grande importanza in quell'ambito, ossia il potere dei brand e l'inventiva. Il brand rappresenta l'interfaccia tra il prodotto ed il pubblico, ovvero stabilisce visivamente l'identità di un'azienda e con essa, l'insieme di valori che contraddistinguono i suoi prodotti: sinora Nintendo ha gestito splendidamente questa parte del suo business, tanto che quando un giocatore sente parlare di Mario o di Zelda, nella sua mente si forma subito un'idea di qualità. Un'idea che è anche base sufficientemente solida per poggiarvi sopra delle proposte hardware in apparenza difficili da far digerire al mercato.

La storia di Nintendo DS parla da sé, in questo senso. A metà del 2004, l'idea generale era che PSP avrebbe stracciato l'innovativo portatile dual screen offrendo controlli più completi, tanta potenza e in generale, lo stesso tipo di familiarità con l'esperienza PS2 che tanti, tantissimi utenti all'epoca conoscevano e sperimentavano ogni giorno. Sfortunatamente, i costi associati allo sviluppo ed un supporto tiepido dalle terze parti mandarono all'aria i sogni di Sony, e non perchè il gigante giapponese difettasse di brand validi. Il problema, forse, germinava nell'idea di aver conquistato tutto ciò che c'era da conquistare in termini di clientela, e di aver creato una sorta di guinzaglio per cui ogni proposta commerciale sarebbe stata accettata indipendentemente dalla sua ragionevolezza.
Solo in tempi recentissimi Sony pare avere intuito l'anacronismo di questo atteggiamento, ed affronta una sfida di enorme portata sulla forma da attribuire al progetto PlayStation 4.

Guardando alla storia della progettazione hardware presso Nintendo, ci si accorge di come l'azienda giapponese abbia spesso camminato ai margini della ragionevolezza per ciò che riguarda i prezzi finali delle sue macchine, mettendo in luce virtù alternative in macchine dalle performance oggettivamente limitate (l'esempio principe sta nel progetto Gameboy, che in tutte le sue versioni, ha ruotato intorno all'utilizzo di processori anni '70 fatti sopravvivere sino a 2003 inoltrato, e con un rateo di discesa dei prezzi incredibilmente lento). Nintendo ha pienamente trasferito questo approccio progettuale dalle console portatili a quelle casalinghe nel 2006 con Wii, ed oggi tenta di portare avanti il discorso grazie a WiiU, sebbene in maniera un po' meno ispirata: guardando dalla distanza, il nuovo sistema di Kyoto assomiglia tantissimo ad un DS "in grande" con touch screen decentralizzato. Un errore?

Di certo non nell'ottica degli ingegneri Nintendo. Se come è ampiamente probabile, questa è stata la loro idea di base, va pur detto che la si sta eseguendo in maniera tale da attrarre trasversalmente tutti, dall'hardcore gamer più incallito ai "touch player" (quelli costantemente a capo chino su smartphone e tablet), passando ovviamente per che si è scoperto giocatore in seguito alle revoluciòn Wii e DS. Ed è chiaro come questo genere di operazione richieda una certa creatività. Perchè WiiU contempla non due, non tre, ma ben 4 interfacce: i controlli fisici del pad, il touch screen, il sintagma formato da telecamere, microfono ed accelerometro, ed infine lo schermo televisivo. Da un canto, avere tutti questi dispositivi aumenta esponenzialmente le possibili implementazioni di game design e fa si che ogni potenziale utente ritrovi nella piattaforma qualcosa di familiare con cui confrontarsi.

Altro canto è, dal punto di vista progettuale, far si che tutto questo corpus sia rappresentato in maniera lineare ed intuitiva dal sistema operativo, affinchè il giocatore non si perda tra le tantissime funzioni della console - funzioni che tra l'altro, ogni sviluppatore utilizzerà a modo proprio ed in maniera disomogenea. Il fabbricante ha tentato di metterci una pezza pubblicando al lancio NintendoLand, creato appositamente per dimostrare tutte le caratteristiche del pad controller a suon di minigiochi più o meno divertenti; altri produttori hanno optato per convertire i loro prodotti in maniera semplice e lineare (Tekken Tag Tournament 2) senza investire in ricerca specifica. C'è quindi un problema di "linguaggio" con WiiU che è molto più articolato rispetto a quello posto da DS, Wii e 3DS.

Ciò che dovremmo tutti augurarci è che questo ostacolo venga superato al più presto, con applicazioni brillanti che sin da subito dicano al pubblico "questo è WiiU, e si può fare solo qui!". Soltanto così si potrà giustificare un prezzo al dettaglio non indifferente per il tipo di hardware (il fatto che un solo tablet controller costì la metà di tutta la console chiarifica che non ci troviamo sicuramente di fronte ad un Cray Titan). Sfortunatamente, a Wii sono occorsi 5 anni sul mercato prima di trovare in Zelda: Skyward Sword un'implementazione del motion gaming davvero prossima alla perfezione. Ma non scordiamoci che storicamente, ricombinare elementi in maniera imprevedibile ed accattivante è uno tra i più grandi punti di forza del reparto Ricerca e Sviluppo di Nintendo. Ha forse paura di lasciarsi stupire, Mr. Pachter?