Le chiacchiere sono a zero, una manciata di ottimi titoli non possono cambiare la realtà. C’è stato un cambiamento enorme sia in giappone che nel mondo intero, è come la caduta dell’impero romano, un giorno c’è e un giorno non c’è più. Il giappone un giorno prima era moda/stile/avanguardia e il giorno dopo si è ritrovato, chissà se volontariamente, nella posizione opposta. Square non ci sta capendo un cazzo, quello non è innovare è non capirci un cazzo, non a caso i giochi migliori glieli hanno sfornati in occidente. Capcom ha iniziato la generazione alla grande, sembrava l’unica che ci capiva qualcosa nel marasma nipponico, ma poi ha avuto grossi problemi di management (e lo dice Inafune, non io) e ha mandato un pò in vacca tutto il buon lavoro svolto. NamcoBandai non esiste più, fortuna che i picchiaduro sono ripartiti alla grande altrimenti erano cazzi pure per loro. Sega pure i soldi li fa con l’occidente, e li perde pure per scarso management (un’altra volta), guardare il caso Avallone ed Alpha Protocoll. Fortuna che c’è Nintendo, ma pure loro hanno visto la morte in faccia. Ripeto, il giudizio del tipo è volutamente affilato, non è vero che “i giochi giapponesi fanno schifo”, ma è vero che un bel calcio al culo, per svegliarli per benino, bisogna darglielo. Poi il fattore terremoto sta influendo, ma sono molto belle le parole di Koichi Hayashida a tal proposito, rilasciate nel suo intervento alla GDC, cercatele...
Ed ecco la mia replica:
Quanto alla questione relativa al declino dell’industria giapponese, mi pongo in una posizione abbastanza democratica: ormai gran parte delle innovazioni tecnologiche arrivano da Occidente, ed hanno fatto si che lo stile “drammatico” dei prodotti europei ed americani si prendesse una bella fetta di mercato. È uno stile che piace, visti i risultati di mercato, ma definirli esenti da critiche sarebbe folle – una su tutte quelle della ripetitività e della sindrome da sequel.
Quel che Keiji Inafune è tornato a dire è “creiamo nuovi brand e spremiamoli alla maniera degli occidentali”, cosa che SEGA ha capito ormai da tempo e che fa con la serie di Yakuza (Binary Domain è pronto a subire la stessa gestione). Un altro elemento chiave del successo occidentale che i giapponesi dovrebbero contrarre è il reimpiego della tecnologia: MT Framework sarà anche un bellissimo middleware, ma se non lo dai in licenza a prezzi competitivi sei andato. Che ne è degli engine sfornati da Square-Enix negli ultimi 5 anni? E perchè Sony non fa crescere sul suo mercato quella bomba del PhyreEngine, usato pochissimo?
L’Occidente è salito in cattedra per ragioni di questo genere: i vari Unreal Engine, CryEngine, Gamebryo e via dicendo sono motori completi, potenti, multifunzionali e soprattutto, splendidamente documentati. I produttori licenziatari offrono grande supporto a chi acquista le loro tecnologie, rendendo più facile la produzione di software tripla A… In altre parole, i coder occidentali si stanno reciprocamente aiutando – anche per una questione di vicinanza comunicativa e geografica: la lingua inglese è un patrimonio che mette insieme Europa e States mentre i giapponesi, che non comunicano praticamente con nessuno, stanno imparando a farlo solo ora nell’ambito dei videogiochi.
Cos’ha a che fare tutto questo con la creatività? Relativamente poco. Il Giappone ha il suo immaginario e la sua cultura, credo che i principi di base del loro fare videogiochi non siano poi tanto cambiati – li apprezziamo meno perchè adesso ci sono prodotti culturalmente più vicini alla nostra sensibilità e di qualità elevata. Ma non facciamo l’errore di dire che è tutto buono ciò che viene da casa nostra perchè così non è, e lo sappiamo tutti molto bene: i grandi sviluppatori occidentali hanno seri problemi quando si tratta di innovare, per questo si va a mitizzare il comparto indie o quei pochi prodotti giapponesi che si distinguono. E questo chiude il cerchio del discorso.