Wednesday, 20 January 2010

Sull'arte di Dante's Inferno


Mi sembra sia chiaro a tutti che lo sfruttamento del nome di Dante, qui, è solo un ammiccamento intellettualoide da parte di EA.

Si sono già citati diversi motivi per cui il gioco sarebbe già da ora stigmatizzabile, ma come ho ribadito in altre sedi, esisterebbe un solo motivo di interesse nei suoi confronti: questo è proprio l’art style.

Visceral Games si trova tra due fuochi qui, ossia quello di un’opinione pubblica straordinariamente prona allo scandalo, e quello per cui è necessario rendere graficamente il grottesco insito in un luogo che è la quintessenza di tutti i peccati, della sozzura, della perversione e della sofferenza estrema. Tenuto conto del primo, pesantissimo limite, mi sembra che gli artisti si siano ben mossi lungo la linea dell’accettabilmente inaccettabile, con creature sufficientemente ripugnanti ed un preciso concetto alla base del loro design.

La domanda è: serviva tutto questo quando già abbiamo un Silent Hill capace, con solo una manciata di iconiche creazioni (Pyramid Head, le infermiere, gli ammassi di carne simili a bambini), di evocare un terrore infernale ancora ineguagliato? Dico che serviva, si, e che è un peccato vedere i parti degli artisti americani impantanati in un engine ancora fermo alla gamma cromatica di Quake – il primo.
Ogni gioco, a modo suo, è un banco di prova per le capacità espressive del medium e sinceramente sono proprio curioso di vedere sino a che punto si sia voluto osare in Dante’s Inferno.

Potrebbe tutto risolversi in una grossa ed inutile bolla di sapone, come sembra suggerire Gianpaolo (Iglio, ndr), ma spero ardentemente che esista almeno un momento in questo gioco dove ciò che ci sarà mostrato sarà talmente aberrante da bloccarci sulla sedia per qualche secondo.
Sarebbe l’unico momento di redenzione possibile per Dante’s Inferno, e considerata l’ironia della cosa, il suo raggiungimento darebbe a Visceral un piccolo motivo per sorridere d'orgoglio.

Monday, 17 November 2008

Un mistero lungo una notte... ovvero: HOTEL DUSK Room 215


Setacciando nei meandri, nemmeno tanto remoti, della mia memoria, sono andato a ripescare quel piccolo grande gioiello di nome Hotel Dusk. Sarà che inconsciamente (si fa per dire) io senta il bisogno di un'esperienza un tantino più sostenuta di quelle che sto vivendo attualmente con altri giochi; sarà che volevo semplicemente cavalcare l'onda delle nostre recenti pubblicazioni data la nostra latitanza; qualunque cosa sia, eccomi qui a riproporre quanto scrissi sul forum di GameRepublic circa un anno e mezzo fa.

La mia non è una recensione, d'altra parte oggigiorno se si desidera quantomeno farsi seguire sembra indispensabile schiaffare un numero a fondo pagina per definirla tale (ma di questo parleremo in un'altra occasione molto probabilmente). Ciò che ricordo è che, a gioco appena terminato, mi venne una voglia matta di scriverne a riguardo con l'intento di condividere quanto avevo appena finito di vivere. Il risultato è ciò che troverete qui di seguito. Enjoy yourself, come direbbero i più anglofoni!

Nintendo Republic 06/05/2007 19:02:00

Quando ebbi notizia di questo titolo in versione americana qualche mese fa, rimasi alquanto dubbioso, non tanto circa la sua validità - sbandierata più e più volte a chiare lettere da chi di dovere - quanto in relazione alla sua straordinarietà.
Nonostante tutto però, non mi sento di condannare l'attegiamento di molti, i quali, giustamente, dopo un discreto Another Code, e alla luce della natura "atipica" del titolo, hanno preferito tenere gli animi non eccessivamente accesi.

Sta di fatto che ci troviamo dinanzi ad un gioco indiscutibilmente bello, denso di carica emotiva, e in grado di tenere incollato il proprio fruitore ininterrotamente sino alla fine. Sì, perché l'ultima fatica targata Cing riesce ad elargire in termini di trama, sia in qualità che in quantità, ciò che molti giochi - che a tale componente pensano di dedicare un ruolo importante - proprio non riescono a offrire, per quanto possano provarci. Oltretutto, sotto questo aspetto, nulla ha da invidiare ad un qualsiasi lungometraggio di prim'ordine. Non a caso le tematiche trattate sono molteplici, perdipiù in maniera intelligente, anche se il breve soffermarsi su taluni aspetti potrebbero lasciar intendere una vena di "leggerezza" nel proporcele, ma, considerato il contesto, il tutto si intregra con armonia e alla perfezione.

Quella di Hotel Dusk è un'esperienza, e tale elemento è tenuto in dovuta considerazione dagli sviluppatori, considerato il dislivello tra la mole di interattività e quella di mera (ma ugualmente appagante, se non di più) ricezione passiva degli eventi - che si snoda perlopiù attraverso lunghe letture di numerosi ed interessantissimi dialoghi - a favore di quest'ultima.

Ciò non implica un gameplay insulso e superficiale, al contrario, questo è uno di quei giochi che dalla "touch generation" proprio non può prescindere, e il merito è degli sviluppatori se a più riprese, man mano che si procede con la storia, vi accorgerete come sia impensabile su di una qualsiasi altra piattaforma, se non forse sulla sorella maggiore Wii; ma anche una simile possibilità sarebbe da considerare con le molle.

Fatta questa premessa, e chiaro ciò a cui si va incontro, sono del parere che nessun degno possessore di questa 'strana' console debba in alcun modo privarsene.
Lo stile insito in questo titolo poi è un qualcosa che esula da tutto quello che ci è stato proposto sino ad ora. L'idea di presentarci ogni singolo personaggio con quello stile grafico tratteggiato, che trova un eccellente compromesso tra i termini 'fumettistico' e 'noir', dona all'intera vicenda un alone di misteriosità e maestosità inauditi. Di contro c'è un 3D non eccelso, ma che, nonostante il ruolo tutt'altro che marginale che ricopre, non pregiudica granché il tutto.

In altre parole, spesso si è abusato di ciò che sto per scrivere, ma mai come in questo caso è azzeccata la frase: avvicinatevi a questo titolo per viverlo, non per giocarlo... diversamente rivolgete la vostra attenzione altrove.
Se sarà questo l'approccio però, vi assicuro che ne varrà decisamente la pena.

Friday, 14 November 2008

Euforia a parte... una piccola parentesi

In un periodo come questo, in cui si è subissati da una quantità di titoli disarmante, emerge la necessità di chiedersi sino a che punto tanta quantità comporti necessariamente altrettanta qualità. Di certo il fenomeno cui stiamo assistendo in tal senso ha il non indifferente merito di trascinare un’ulteriore fetta di utenza che in questo scenario, se rimasta indifferente ad un titolo, ha sicuramente modo di “ripiegare” su qualcos’altro data la vastità dell’offerta.

Ci si ritrova quindi a chiedersi come mai – nonostante Gears of War 2, Fallout 3, Fable 2, Dead Space e chi più ne ha più ne metta – sembra ancora mancare qualcosa, come una piccola falla che stenta ad essere otturata sebbene il materiale a disposizione pare essere più che sufficiente. D’altra parte simili produzioni vantano indubbiamente una validità che è fuori discussione… ma c’è un però: che li enormi sforzi siano stati indirizzati prevalentemente nel verso opposto a quello che servirebbe attualmente?

Voglio dire, lo sfrenato desiderio di grafica superpompata e finezze tecniche di varia natura sono davvero ciò di cui in questo momento ha bisogno questo settore?
O meglio ancora: basta solamente tutto ciò?
So che a primo impatto potrà sembrare lievemente superficiale come approccio, ma non snobbo affatto l’egregio lavoro svolto da molti sviluppatori e di differenti compagnie; solo mi chiedo se questa loro eccessiva apertura ad alcune logiche di mercato (prima ancora che verso noi utenti) non finisca per confondere loro le idee e “limitarli” in un certo senso.

Ciò che muove quest’industria dovrebbero essere le idee prima ancora che i quattrini, e anche se una simile considerazione possa risultare smielatamente idealista, serve che qualcuno le dica certe cose, mentre qualcun altro prenda fermamente posizione. Ciò che rammarica di più in tutto ciò è assistere ad enormi sforzi profusi nella stessa identica direzione, atteggiamento che finisce con lo svilire anche i lavori più meritevoli. E sia chiaro, le mie valutazioni non riguardano la genuinità della direzione in sé: nessuno mette in dubbio l’esigenza di una grafica sempre più performante, né oso anche solo pensare che se ne possa fare totalmente a meno, ma come dicevano i latini (che la sapevano più lunga di noi), in medio stat virtus.

L’elemento “caramella per gli occhi” non è guasto di suo, ma diventa un problema nel momento in cui incide su altri aspetti, ugualmente importanti e per niente opzionali. Si tratterà magari di percezioni, ma quella del sottoscritto (che pur si sta anch’egli godendo alla grande questo intenso periodo videoludico) è che l’impoverimento delle idee che si va registrando da un po’ di tempo a questa parte sia anche da attribuire all’univoca direzione intrapresa da troppi, che con i “facili” consensi di una forza bruta rilevante in termini grafici, contano forse di risolvere altre magagne – in casa e fuori casa loro.

Tali considerazioni sono mosse anche da un altro fenomeno, decisamente più triste e che stavolta riguarda noi giocatori più da vicino. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma di alimentare stupidi e inconsistenti campanilismi non ho proprio voglia; semmai si cerca di ragionare, anche con l’aiuto di altri. Ebbene, mi riferisco all’atteggiamento che abbiamo assunto nei riguardi di questa generazione e delle tre compagnie che la stanno portando avanti (mi riferisco chiaramente a Microsoft, Nintendo e Sony). Non so come mai, forse perché rincoglioniti da tutta questa esaltante roba, forse perché adesso, grazie anche ad internet, siamo molti di più a parlare, sarà quel che sarà, ma di rado regna il buon senso dalle nostre parti. In certe occasioni portiamo all’esasperazione difetti insiti nell’uomo da che mondo è mondo, producendoci in contraddizioni eclatanti e prese di posizione che sfiorano l’assurdo. Ed è inutile tirarsene fuori, vuoi o non vuoi tutti soffriamo questa antipatica situazione.

Si tratta a questo punto di capire se non siamo noi ad influenzare gli sviluppatori o viceversa, se quel potentissimo mezzo denominato ‘vendite’ sia finora stato adoperato in maniera impropria, oppure se l’indebolimento generale ci stia rendendo ancora più vulnerabili a certe influenze, tale da avallare tesi “complottistiche” che vogliono le Software House quali manipolatori di turno. Qual che sia la verità, è innegabile che certi cori, riproposti puntualmente ogni tot di tempo e in tutti i forum del mondo, non ci incoraggiano a sperare in un cambiamento a breve termine. Per esempio, sembra essere sport diffuso sparare a zero su Sony, e non a torto in fin dei conti: la politica delle promesse non ha mai attecchito più di tanto, e alla lunga, se non degnamente supportata, dimostra la sua profonda pochezza. Per altro verso, ciò che in un simile scenario è venuto meno è sempre stato quel tanto caro buon senso di cui accennavo prima. Chi da un lato difende a spada tratta, chi dall’altro spara a zero come fosse la croce rossa. Questa chiusura costituisce uno scoglio insormontabile ai fini del discorso di partenza se non si cerca di sensibilizzare diversamente certi personaggi. Tra l’altro simili posizioni denotano qualcosa di diverso dello spropositato amore sbandierato in favore di quella o quell’altra compagnia, anzi, comporta proprio l’esatto contrario. Perché se davvero stesse a cuore Sony, per esempio, ci si infervorerebbe non già per le innumerevoli conversioni malriuscite, quanto per il mancato intervento affinché tale situazione cambi. Anche i sassi oramai dovrebbero sapere che la console di riferimento per lo sviluppo parte enormemente avvantaggiata, e che proprio la conversione (anziché un’ulteriore sviluppo separato) decreta la resa di quel prodotto su quella determinata macchina. Eppure queste ovvietà risultano sistematicamente disattese. Insomma, ci si lamenta e a ragione ma, come spesso accade, per i motivi sbagliati.

Senza divagare oltremodo, torniamo a focalizzare la nostra attenzione sulla questione ‘idee’. Nintendo sembra essere unica pioniera in tal senso, e se non altro bisogna riconoscerle il merito di aver intrapreso una strada totalmente opposta a quella dei suoi antagonisti, senza però, paradossalmente, riuscire fino ad ora a portare a compimento l’obbiettivo prefissato. Anche qui entra in gioco il fattore “politically correct”, imponendo implicitamente il silenzio riguardo la palese stasi innovativa che in partenza tanto sembrava florida e promettente. Nintendo ha sdoganato il WiiMote e, soprattutto, il Touch Screen, ecco allora che la sua infallibilità diviene un dogma di fede. Eppure anche questo modus pensandi sembra sortire il medesimo effetto, ossia impedisce di realizzare ciò che diversamente avrebbe già una forma.

In una realtà in cui FIFA insinua quantomeno il dubbio riguardo quale sia la migliore simulazione di calcio, per molti addirittura spodestando il buon vecchio PES, non è così utopistico pensare che da alcuni titoli PS3, prossimi al rilascio e non, passi la più concreta occasione di cui attualmente questo settore dispone per venire fuori da questo particolare momento. Magari proprio mentre veniamo bombardati da uscite di enorme spessore, mentre il portafoglio piange come poche volte abbia mai fatto e mentre ci spertichiamo in elogi verso una così fertile condizione in cui versa il calendario dei rilasci.

La mia non è una profezia, né tanto meno una scontata ed inevitabile verità, ma intendo ugualmente lanciare il sasso, senza peraltro tirare indietro la mano. Non riesco a fare a meno di scorgere ciò di cui questo fantastico mezzo ha bisogno in titoli come LittleBigPlanet ed Heavy Rain, non nell’ennesimo sparatutto come Killzone o in un accattivante RPG di stampo orientale come White Knight Chronicles. Capisco che in un’era in cui in troppi condividiamo la filosofia del “tutto e subito” risulti difficile guardare al di là del proprio naso, ma solo il ragionare in prospettiva può riportare in auge le premesse che hanno sempre contraddistinto il ‘videogame’. Sperimentazione, innovazione ed evoluzione: queste sono le tre parole chiave cui gran parte dei titoli dovrebbero attenersi, cercando di assecondarle nella maniera più consona.

Oggigiorno, però, ritornare a questo spirito sembra essere controproducente (per la tasca chiaramente), e se anche in quel di Kyoto ci si guarda allo specchio compiaciuti a tal punto da credere di aver dato abbastanza, allora è nostro “dovere” guardare altrove speranzosi.

Sunday, 2 November 2008

MTE - Modern Times Event

Uno sguardo alla sperimentazione di Quantic Dream che ridefinirà il concetto di hardcore gaming.

1 - Abstraction Layer
L'industria del videogioco ha carattere eminentemente conservatore; del resto, lo sono tutte le produzioni di consumo. Per questo non ho difficoltà nel comprendere da dove nascano le critiche rivolte a prodotti come Fahrenheit.
Ci sono cose che l'opera di Quantic Dream fa molto bene, come lo sfruttamento degli stick analogici per mimare l'esecuzione di semplici interazioni ambientali; una piccola trovata dal valore molto meno triviale che in apparenza.

Accadimenti più complessi sono invece governati dai Quick Time Event, che pesano sensibilmente sulla meccanica del gioco e sono stati accolti dal pubblico con minore entusiasmo.
Il motivo per cui il pubblico percepisce come problematico questo approccio al gioco, consiste probabilmente in quello che amo definire "
livello di astrazione". Con questo termine imprestato dall'informatica faccio fondamentale riferimento a due concetti:

a) il grado di semplificazione che si deputa in fase di game design a certe azioni
b) il grado di controllo attribuito al giocatore sull'esecuzione di un atto

E va da se che il punto (b) discenda direttamente dal primo.

Un Pro Evolution Soccer rinforza la sensazione che quella splendida "rabona" con goal annesso fosse proprio opera nostra, e non di un automatismo. Il successo del titolo sportivo Konami, in questo senso, deriva dalle specificità del tema trattato: bisogna sapersi muovere con arguzia e creatività tattica all'interno di un set di mosse prestabilito, le nostre azioni generano varianza in un contesto essenzialmente rigido.

L' effetto collaterale del QTE, al contrario, consiste nel far sentire l'utente parzialmente "derubato" di un atto che avrebbe potuto compiere in maniera più articolata, e quindi più propria; una sensazione simile a quella generata dall'abbondanza di scene non interattive, come accade in Metal Gear Solid. Le avventure di Snake si collocano dunque ad un livello di astrazione più alto rispetto a quello di PES.

2 - Vecchi problemi e nuovi sentieri
A tal proposito, il messaggio di David Cage e - in forma più estrema - Hideo Kojima è essenzialmente "live with it", "fatevene una ragione", perchè esistono situazioni che l'attuale configurazione del videogioco non può efficacemente descrivere. E questo è particolarmente vero per i giochi che desiderano raccontare qualcosa: in una storia di fantasia non c'è limite a ciò che può accadere, quindi il livello di astrazione raggiungibile può essere elevatissimo.

Il problema dell'astrazione è tanto concettuale quanto funzionale. Uno degli scogli più grandi del videogioco consiste nella necessità di mantenere un punto di vista sull'azione il più possibile univoco durante tutta la durata dell'esperienza. Prima persona, terza persona, visuale laterale, top-down: la costanza della prospettiva risponde all'esigenza di esercitare nel miglior modo possibile le mosse contemplate dal game design, ma appiattisce la componente fondamentale del dramma nei generi che più ne abbisognano.
In un'esperienza spiccatamente visiva quale è il videogioco, il cambio di prospettiva è uno strumento espressivo a dir poco fondamentale, ed è difficile istruire in tempo reale il giocatore su quanto di imprevedibile una storia può chiedergli di fare. I modelli della telecamera unica e della rigida mappatura dei comandi sul pad sono limiti notevoli in questo senso.

Per questo motivo Heavy Rain è strutturato nel modo che abbiamo visto: il nuovo prodotto firmato da Quantic Dream ha come scopo principale quello di raggiungere il perfetto equilibrio tra astrazione e comando diretto, per massimizzare l'efficacia del racconto senza sacrificare la decisionalità dell'utente. Si tratta di dotare il videogioco di una vera e propria regìa, cosa che sin troppo raramente avviene al giorno d'oggi.

Piaccia o meno, questa è una tra le direzioni più affascinanti che il videogioco moderno sta intraprendendo. Heavy Rain non prende di mira l'utente per il quale il brivido più grande consiste in un headshot ben piazzato, non insegue trivialità hardcore: è un sentiero nuovo emerso nel fitto sottobosco del videogioco, orientato più di altri nella direzione dell' arte.

Friday, 17 October 2008

L'immagine del videogioco

Rispondendo ad un interessante post di Giuseppe "Joe Slap" Puglisi sul sito Ars Ludica.org (http://arsludica.org/2008/10/16/la-vergogna-di-mostrarsi/#comment-14328), mi son trovato a riflettere intorno al perchè la percezione pubblica del videogioco continui ad essere tendenzialmente negativa.
Trovo che il modo migliore per affrontare l'argomento sia quello di mettersi nei panni di chi ci guarda mentre esercitiamo il nostro hobby preferito, e delle idee che costoro possono maturare indipendentemente da ciò che accade su schermo: è più facile attirare l'attenzione di una persona partendo dagli effetti di ciò che facciamo, piuttosto che cercando di indottrinarla su qualità non esplicite.



"Mi occupo di business planning presso un’azienda di information technology in franchising, mentre la mia passione è l’ interactive entertainment. Semplice, no?

Aldilà della facilità con cui ci si può nascondere dietro termini astrusi, credo che il problema consista principalmente nel convincere la gente che “videogiocare” non equivale a “star seduti dinnanzi ad uno schermo per ore scatenando massacri, esplosioni e fracasso”… Perchè è questo che i nostri genitori sentono e vedono quando entrano in stanze nelle quali, magari, siam stati chiusi a lungo: abbiamo rinforzato in loro l’associazione tra il nostro passatempo e un’idea di (acusticamente) disturbante immobilità. La pubblicità di settore, dal suo canto, non si è quasi mai preoccupata di dissociare le due cose prima dell’avvento di Wii e DS.

Il successo delle recenti console Nintendo verte su un interrogativo che la casa di Kyoto ha attentamente vagliato: “Serve un nuovo modo per stimolare la curiosità dei consumatori, cosa dobbiamo fargli vedere?” Nintendo ha dunque spostato il baricentro della propria pubblicità dal software ai suoi “effetti collaterali”: i gesti della battuta nel tennis, dello swing nel golf, del colpo verso l’alto per far saltare Mario hanno spazzato via quell’idea di immobilità di cui parlavamo prima (in maniera più o meno ingenua ed efficace, si potrebbe obiettare, ma questo è un altro discorso). Vista dall’esterno, un’interazione indiretta tende ad apparire comunque passiva. Adesso invece c’è movimento, fattualità, e quindi interesse.

La dove esiste un pregiudizio come quello descritto all’inizio, il modo migliore per promuovere un videogioco consiste nel NON parlarne direttamente. Piuttosto, si circumnaviga l’argomento per portare l’interlocutore gradualmente al punto.
Non si può pensare di indottrinare la gente alle virtù del videogame - ed in special modo quelle non esplicite, come la qualità della narrazione - mettendola di fronte ad un pur scintillante
Gears of War, insomma.

Nintendo e le sue piattaforme hanno mosso un passo importante nella direzione che vorremmo, ossia quella descritta da Joe nel suo intervento. Presa coscienza dell’efficacia dell’approccio, nonchè dei suoi lati negativi (l’invasione di software qualitativamente risibile ed inutile, in primis), non ci resta che ringraziare Nintendo e pregarla di portare avanti il discorso nel modo più virtuoso. Lei o chi per lei.

Attendendo che la “rivoluzione gestuale” si compia del tutto, possiamo sempre rivolgerci a David Cage ed ai magnifici concetti che animano Heavy Rain sui più tradizionali lidi di PlayStation 3: magari il loro valore sarà evidente solo ai giocatori più smaliziati e meno superficiali, ma daranno un’ulteriore prova di maturità del videogioco in quanto mezzo di comunicazione, nel senso più ampio del termine."

Friday, 1 February 2008

Who is the strongest Sith?


Tutto ha avuto inizio più o meno così:
Io: Marco, sai, oggi mentre perdevo tempo come al solito, cazzeggiando per la rete, ho trovato un’interessante discussione su The Force Unleashed. Si fantasticava su quali potessero essere i risvolti della trama e… sai com’è… ho pensato bene di scrivere anch’io le mie quattro stronzate.
Marco (sfregandosi le mani): Bene, bene, racconta, sentiamo un po’.
Gli racconto tutto (e non preannuncio niente per motivi che comprenderete più avanti) e, lì per lì, comincia uno dei soliti confronti che possono nascere giusto tra due poveri pazzi qualunque, patiti di videogiochi e, nello specifico, pure di Star Wars.
A fine serata però – quando ormai dell’argomento non vi era più nemmeno l’ombra - Marco se ne esce dicendo la seguente: "Antonio, ma perché non lo pubblichi sul blog quest’intervento?"
Al che gli risposi: "Ecco bravo, così se poi andrà in questo modo potrò dire ‘io l’avevo detto’."

Poste queste premesse introduttive, eccomi qui a rendere pubbliche le mie supposizioni nonché, mentre che ci sono, anche le mie impressioni. Il tutto alla luce dei filmati e delle poche notizie rilasciate che comunque costituiscono un più che discreto materiale su cui speculare avidamente – anche se in questa sede farò in modo di limitarmi.

In Star Wars The Force Unleashed impersoneremo un apprendista segreto di Darth Vader e i fatti si svolgeranno tra il terzo ed il quarto episodio.
Già di per sé tale collocazione temporale risulta decisamente affascinante; centra nel segno, dato che dei circa diciotto anni di “pausa” tra l’episodio III e il IV finora nulla ci è stato dato sapere. Purtroppo intendo chiarire di non essere un fan della “vecchia guardia”, anzi, pur conoscendo la saga da parecchio tempo ne sono divenuto ‘cultore’ da circa due/tre annetti, il che, per ovvi motivi, non mi ha permesso di reperire abbastanza materiale al di fuori dei canonici sei episodi – e mi riferisco in particolare al rinomato ‘Universo Espanso’, entro il quale vengono raccolte innumerevoli vicende facenti parte della timeline ufficiale di Star Wars mediante la pubblicazione di libri, fumetti e videogiochi essenzialmente.
Star Wars TFU rientra a pieno titolo tra questi, con la ragguardevole aggiunta della diretta supervisione di George Lucas in persona (a quanto ho capito sembra sia proprio lui che ne sta curando la sceneggiatura, d’altra parte è quella la sua specialità…), cosa che non era mai avvenuta sino ad ora con altri videogiochi dedicati alla saga.
Che dire sul gioco in sé?
Il titolo si presenta davvero bene, grafica considerevole, ambientazioni accattivanti e una fisica alla quale chiaramente è stato dato un occhio di riguardo data la natura di ciò che si sta trattando: l’uso di numerosi poteri della Forza costituirà parte decisamente integrante dell’intera esperienza, ecco perché la buona resa di questa componente potrebbe risultare cruciale - sotto l’aspetto puramente tecnico intendo.
Come già accennato sembra esserci pure graficamente, lo si nota per di più in taluni frangenti in cui l’interazione con numerosi elementi “secondari” rende davvero alla meraviglia (i vetri frantumati in seguito ad un violento impatto fanno davvero la loro figura!)
Per quanto mi riguarda però, da quel po’ che si è riuscito ad intravedere, il gameplay suscita un certo senso di deja vù, come di un qualcosa di già visto. Ripeto, sarà una mia impressione e tra l’altro nemmeno così fondata, ma specie nelle fasi in cui ci si batte impugnando la lightsaber sembra di assistere ad uno dei soliti action senza pretese. A riguardo attendo maggiori video e soprattutto la “prova su strada”.
Il discorso cambia nel momento in cui si utilizzano i poteri della Forza: in quel caso faccio veramente fatica a resistere pensando che prima di quest’estate non potrò averlo tra le mani. Sono convinto che queste fasi costituiranno il picco più alto dell’intero gameplay!

Dopo aver improvvisato una sorta di approssimativa anteprima però, intendo trattare del motivo per cui questo intervento.
In uno dei pochissimi forum che frequento, un fan sfegatato della serie, tra l’altro di vecchia data, poneva molto intelligentemente un quesito: “… ma è possibile che di un signore oscuro così potente (riferito al personaggio principale – ndr) non se ne faccia alcuna menzione nella Trilogia Originale?”
Effettivamente la domanda è del tutto fondata: oh, ‘sto folle in uno dei video mostrati blocca, mediante l’uso della Forza, addirittura uno Star Destroyer imperiale!!!
Parte così una carrellata di ipotesi, non molte a dire il vero, e solo alcune, a mio avviso, probabili.
In un contesto simile mi è sembrato un peccato non dire la mia ed allora mi sono fatto avanti proponendo la tesi di seguito riportata, presa "paro paro" dal thread del forum in questione.

[...] Il gioco promette davvero bene ma, al di là di quelle che possono essere le svariate considerazioni tecniche però, sono davvero curioso di capire come si dipanerà la trama, componente che starà a cuore più di ogni altra cosa a chi realmente ama la saga. Ho letto alcune ipotesi proposte in questo topic e devo dire che quelle di viga69 mi sembrano le più convincenti. Regge e non poco infatti la possibilità che sia questo 'secret apprentice' colui che "sterminerà" i Jedi rimanenti, vivi proprio grazie all'intervento di Obi-Wan, che invertirà l'ordine di rientrare diramato da Darth Sidious proprio in seguito al subbuglio che si è venuto a creare a causa della caduta della Repubblica. Ecco magari che con il nostro personaggio dovremo andare in giro per la galassia e stanare 'sti poveri Jedi, e poiché con tutta probabilità trattasi di una missione assolutamente segreta capiterà di scontrarsi anche con truppe imperiali che chiaramente si saranno insediate un po' ovunque. D'altra parte chi ha avuto modo di seguire la saga con attenzione sà quanto odio e quanto rancore Anakin serbi per i Jedi, e mi riferisco in particolar modo alla fine dell'Episodio III, in cui la ferita è talmente fresca da rendere Darth Vader altamente instabile, sicuramente più di quanto non si sia visto nella Trilogia Originale. Chiamiamolo un "piccolo capriccio" se vogliamo, ma Lord Vader è conscio del suo enorme potere e, travolto dalle passioni alle quali si è totalmente abbandonato, è disposto a tutto pur di farla pagare a chi (secondo lui) lo ha reso ciò che è diventato - con annessi e connessi, inclusa la morte di Padmé - pure di andare oltre l'Impero, al quale è legato proprio in virtù dell'odio che anche Darth Sidious nutre per i Jedi (non a caso la loro persecuzione sta alla base del programma del nuovo Impero).
Fino a qui quindi, perfettamente d'accordo con viga, mentre sulla morte di questo personaggio mi riservo qualche dubbio, o comunque non nelle stesse modalità che lui ha proposto. E' chiaro, si tratta di ipotesi e qui ognuno dà spazio alla propria fantasia, ma personalmente vedrei bene una sorta di redenzione di questo apprendista segreto ma a lavoro compiuto chiaramente. Magari, resosi conto di ciò che ha fatto, non serberà più alcun sentimento di odio o rancore, elementi base ai fini del lato oscuro. Una volta redento quindi anche i suoi assurdi poteri potrebbero venire meno, rendendolo indifeso nonché inutile alla causa di Darth Vader, il quale potrebbe deliberatamente eliminarlo dopo averlo malvagiamente "utilizzato" anche per evitare che possa in qualche modo "testimoniare" ciò che ha fatto, persino dinanzi all'Imperatore.
Forse quindi una mezza risposta alla domanda di viga, "perché non c'è traccia di lui dall'Episodio IV in avanti", è già contemplata in queste righe: sostanzialmente tutti i fatti che accadranno in The Force Unleashed, quantomeno in termini di taciti e taciuti risvolti, rimarranno un segreto di cui solo Darth Vader conosce l'esistenza e di cui ha pensato bene non fare mai menzione.
Io la vedo così, oltretutto ritengo tutto ciò piuttosto coerente con la saga. [...]

Chiudo con un breve accenno ad una notizia appresa poco fa visionando la terza ed ultima parte dell’intervista fatta ad Hayden Blackman e pubblicata sul sito
http://www.gametrailers.com/ : in questa occasione colui che è a capo dell’intero progetto ha menzionato un qualche legame tra il protagonista di TFU e la principessa Leia – almeno stando a quello che ho capito. In ogni caso appare scontata, anche in via indiretta, la sua presenza, cosa che non può far altro che accrescere l’hype per questo titolo la cui release è stata posticipata a quest’estate.

Wednesday, 26 December 2007

Tirando le somme... almeno per ora


Ne è passato di tempo dal nostro primo ed ultimo intervento su questo spazio, perciò mi sono detto: "almeno quest'anno chiudiamolo lasciando una nostra traccia, giusto per far capire che il blog è vivo e vegeto!".

Ed allora eccomi qui a proporre un articolo da me redatto e pubblicato sul sito
http://www.gta-series.com/ circa dieci giorni fa.
L'articolo in questione funge, in un certo senso, da resoconto relativo ai trailer ufficiali di GTA IV rilasciati da Rockstar, che finora sono ben tre. L' intento è quello di offrire un diverso punto di vista, frutto di una speculazione atipica se vogliamo, in mezzo al calderone di impressioni e convincimenti che hanno contraddistinto i commenti post-rilascio.

Il resto lo lascio a quanto segue ed ovviamente allo spirito critico di chi vi si accosterà.

Buona lettura



È trascorsa poco più di una settimana dal rilascio del terzo trailer e, da ciò che mi è parso di capire, questo sembrerebbe essere il più "riuscito", non fosse altro per aver messo d'accordo tutti, o comunque molta più gente rispetto ai due precedenti. Quanto a notizie ancora navighiamo sull'onda di quanto è stato detto all'unisono da siti e riviste di tutto il mondo; tutto ricavato da interviste, speciali, articoli e quant'altro. Informazioni davvero interessanti indubbiamente: hanno il merito di averci fornito un quadro quantomeno coerente di quello che dovrebbe essere il "fittizio" mondo di questo nuovo Grand Theft Auto, introducendone svariati aspetti e fugando taluni dubbi sorti in capo al possibile utilizzo di determinati aspetti principe dei passati episodi. Tutti a chiedersi quanto ci sia di nuovo in quest'ultimo capitolo e in che misura debba qualcosa ai suoi predecessori. Tutte domande legittime, considerato l'allargamento disarmante del bacino di utenza della serie, registrato in particolare dal Vice City in poi. L'immediato confronto – oserei dire fisiologico – viene prospettato in relazione al tanto acclamato GTA San Andreas, vuoi perché il più "innovativo", vuoi perché molti sembrano davvero essersi affezionati a talune componenti, quasi non potessero più farne a meno (vedi editing, tuning e via discorrendo). Non invidio Sam Houser, il quale ha dovuto divincolarsi - a mio avviso infastidito – in mezzo alla fitta ragnatela tesagli ad hoc da alcuni simpatici addetti ai lavori, i quali hanno avuto sì il merito di aver raccolto il sentire comune presso svariati forum ma che, nello stesso tempo, considerata la loro auspicabilissima professionalità, sarebbero stati tenuti ad effettuare una sorta di cernita comprendendo cosa fosse stato meglio chiedere e cosa no. A limite, trovo molto intelligente l'iniziativa adottata da Game Informer, la quale ebbe il merito di stilare un intero articolo a mo' di "Domanda e Risposta", in cui gli utenti hanno potuto sbizzarrirsi chiedendo la qualunque. Ma anche in questo caso trattasi di opinioni personali; ritengo che pure in un settore del genere il buon senso sia un'ottima dote cui ricorrere in più occasioni. Ma, dopo queste doverose premesse, direi che è il momento di tornare a noi. In apertura si è accennato a questo terzo trailer, giunto in sordina dopo un periodo di relativa magra. A riguardo si diceva di come fosse risultato decisamente più gradito ai più, merito sicuramente di una durata lievemente incrementata e di un maggiore (seppur chiaramente minimo approfondimento circa quelli che sembrano essere i personaggi principali, ossia Niko e Roman. Nonostante la dicitura di questo trailer (Move up, ladies) suppongo si possa affermare con relativa certezza che il tutto sia incentrato più sulla figura dei due e sul loro rapporto piuttosto che su qualche bella ragazza. Tali considerazioni si estrinsecano da alcune fasi, sapientemente disposte, in cui viene esplicitato l'intento degli sviluppatori, che, come confermato a più riprese, tengono molto alla resa, con relativi risvolti, della trama di questa loro ultima fatica. In primis c'è il benvenuto di Roman verso il suo caro cugino Niko: alla luce di quanto sappiamo, è lecito credere che i semplici vincoli familiari non siano sufficienti a giustificare tanto caloroso
affetto, bensì è molto più verosimile dipingere un quadretto in cui Niko, per Roman, costituisce l'ultima ancora di salvezza, l'unico a poter risollevare una situazione oramai divenuta insostenibile. È sin troppo palese l'ingenuità del cugino del nostro protagonista: come tanti emigranti, è venuto in America carico di sogni e belle speranze, convinto come non mai di poter realizzare il celeberrimo "sogno americano"; ed è questa una convinzione che non lo abbandona affatto, anzi, incrementa spessore dopo l'arrivo di Niko - tutto ciò, nonostante la discutibile condizione in cui versa, braccato come una preda da gente tutt'altro che alla sua portata e con in mano (almeno all'apparenza) un pugno di mosche. Da qui passiamo direttamente ad un'altra sequenza, quella in cui viene proposta la bettola che, presumibilmente, ospiterà il nostro alter-ego virtuale. Da questa situazione si evince la superficialità di Roman, che, quantomeno, sembra aver assimilato la tipica filosofia "made in USA". Difatti alla domanda rivoltagli dal cugino: "È questa la tua idea di villa?", lui si limita, ma con una convinzione disarmante, ad un semplice: "La villa arriverà, cugino. Almeno, il mio sogno è quello...". È questa la chiave: il riscatto di Roman, e per l'esattezza del suo "sogno americano", passa proprio attraverso Niko, nelle vesti, quest'ultimo, del classico fratello maggiore capace di risolvere qualunque cosa, in grado di tirare fuori chiunque anche dalle situazioni più scabrose. Quanto detto ci aiuta pure a tracciare sommariamente gli opposti caratteri dei due. Il primo, Roman, tipo ingenuo, bonaccione se vogliamo, tutt'altro che calcolatore, tanto da immettersi in un giro che non li si addice affatto, convinto ai limiti della follia ma conscio del fatto che il mercato più fertile sia anche quello meno adatto per lui… e qui entra in gioco Niko. La sua è un'indole decisamente più pragmatica, meno disposta alla diplomazia; è un tipo molto diretto, sa valutare le situazioni ed è assolutamente freddo, inoltre sembra parlare giusto quando è necessario. Tali elementi lascerebbero presupporre che ci si trovi dinanzi ad un degno protagonista di un GTA che si rispetti. Qualora volessimo azzardare dei parallelismi, il rapporto, pur se preesistente, che si instaura tra i due è certamente paragonabile a quello tra Vic e Lance, i due fratelli Vance di Vice City Stories. Anche in quel caso Lance - lungi dall'essere il "Lance Vance Dance" di Vice City, quel personaggio talmente ardito da sfiorare l'idiozia (ma comunque apprezzabilissimo e sicuramente più furbo) – necessita in maniera indispensabile di Vic; da solo non potrebbe osare tanto. È chiaro, le figure di Lance e Roman non sono esattamente simili, non fosse altro che il primo, anche quando le cose sembrano essersi messe male, riesce, con fare da "paraculo", a volgere sempre al meglio la situazione, come se insomma avesse sempre tutto sotto controllo. Nel secondo caso appare l'opposto: l'unico riconoscimento che può essergli fatto è proprio quello di aver compreso che la situazione gli sia sfuggita sciaguratamente di mano.In tal senso però sia Niko che Vic assurgono alla perfezione al ruolo di "tappabuchi", anche se, ovviamente, è inutile andare oltre dato che nulla sappiamo riguardo come si dipanerà la vicenda relativa ai due cugini dell'Est Europa. Solo mi sembra interessante focalizzarci sull'interesse degli sviluppatori circa questa "fattispecie" che già si intravede nell'ultimo episodio della serie rilasciato su PSP.Ritornando prettamente al rapporto tra Niko e Roman, letto attraverso ulteriori sequenze tratte dal trailer di qualche giorno fa, intendo menzionare altre due fasi in particolare, in piena linea di quanto sino ad ora espresso. La prima riguarda la vicenda in cui Niko osserva intorno alla ricerca di Roman, il quale si nasconde impunemente tra l'immondizia spaventato come non mai (e supponiamo ne abbia ottimi motivi) e per di più accusato di essere un paranoico. Anche questi frangenti conservano una coerenza inoppugnabile ai fini della nostra analisi: Roman che proprio non riesce ad uscire dalla sua connaturata condizione da ingenuo speranzoso, oppresso e in balia di eventi più grandi di lui; Niko, invece, molto più sicuro dei propri mezzi e spavaldo quanto basta. Ritengo si possa dire che entrambi recepiscano bene il messaggio lanciato loro dall'America, dal suo spirito più profondo; ciò che li differenzia è proprio il modo di affrontare questa realtà che li viene prospettata e chiaramente, in questo caso, non possono che entrare in gioco le loro indoli diametralmente opposte, componente questa che inciderà inevitabilmente in maniera determinante sullo sviluppo degli eventi che si succederanno – e stando a quanto detto, saranno parecchi.L'ultimo richiamo ha, così per come mi piace intenderlo, un "valore rafforzativo"; mi spiego meglio. È inerente proprio all'ultima sequenza, quella che si conclude con una frase che a me ha davvero colpito e che di conseguenza riporterò in lingua originale poiché ritengo che tradotta non renda allo stesso modo: "Well… since you put in that way… I'm in." ("Bene… se la mettete così… ci sto."). Da notare che quest'uscita avviene in risposta a quella che, sostanzialmente, altro non è che una minaccia. Eppure Niko non ne esce "sconfitto" come è lecito credere; no, bensì consolida la sua posizione di uomo concreto e mai fuori luogo. Sa che la sua sopravvivenza e la sua imposizione passano anche attraverso simili minacce e sa anche che, se mai ci sarà un momento in cui rispondere a simili provocazioni, non è quello, ma ci vorrà del tempo. D'altro canto, essendo lui agli antipodi rispetto a Roman, non poteva non comprendere certe cose, rientra nel suo carattere pensare per poi agire. Su quest'ultima considerazione qualcuno potrebbe avere qualcosa da ridire, e non avrebbe tutti i torti. Per esempio ci si potrebbe domandare perché, una persona così attenta alle ripercussioni di determinate azioni, non consideri l'impatto di una condotta che lo vede sempre in agitazione tra inseguimenti, sparatorie e massacri di vario tipo. Beh, in questo caso la risposta è semplice, e potrei, simbolicamente e scherzosamente, riprendere colui che si pone tali domande "rimproverandogli" di non essere un attento osservatore della serie. Il caos è parte integrante dell'esperienza in GTA, e di conseguenza, fisiologicamente, non può che risentirne lo stesso protagonista. Questo è il punto, tutta quella confusione non è il frutto di qualcosa andato storto – non calcolato, per così dire – ma è proprio l'esatto contrario: per fare certe cose non si può operare diversamente, quindi il tutto è voluto… questo è Grand Theft Auto!Ma finito di analizzare, a mio modo, il terzo trailer, mi soffermerei più in generale su quanto visto, letto e saputo prima. Breve ma doveroso accenno, prima di passare oltre, merita la frase conclusiva del primo trailer – che, per la cronaca, rimane il mio preferito quanto a stile e montaggio – ebbene, come non sottolineare quell'ultima frase, densa di molti più significati di quanto non si possa immaginare: "Perhaps here… things will be different."Molti (senza peraltro avere tutti i torti) hanno registrato tale frase come riconducibile al diretto passato del nostro protagonista, passato sicuramente travagliato (come anche lascia intendere la prima parte del suo discorso in questo trailer) ma che non giustifica interamente l'intensità di certe parole.Per capirlo meglio bisognerebbe comprendere che, per bocca di Niko, è la serie che parla, Grand Theft Auto stesso; e quale migliore escamotage da parte degli sviluppatori se non quello di servirsi del prossimo protagonista? Lo dicono chiaramente, facendo precedere il tutto da quel "forse" ("perhaps") che funge più da emblema di prudenza che altro: "adesso le cose cambieranno, non vi diciamo come, non è tempo, ma sappiate che cambieranno… GTA non sarà più lo stesso. "Al di là dell'eccessivo impatto scenico (di cui mi assumo la totale paternità) di una uscita del genere, si tratta sostanzialmente di questo: di prendere atto cioè, che d'ora in avanti si volta pagina, non si capisce ovviamente in che misura, ma così sarà. Non a caso - proseguendo col nostro discorso - uno dei leit motiv delle ultime dichiarazioni riguardo GTA IV, da parte di Houser, sembra essere quello di prendere le distanze dagli ultimi episodi, quantomeno a livello strutturale. E ad essere sinceri sono più di uno gli elementi che lascino supporre la veridicità di certe prese di posizione. Potremmo partire dagli artworks, il cui rinnovato stile la dice lunga in proposito: abbandonato quello classico, simil-cartoonesco, si passa ad uno più "serioso", anch'esso molto evocativo, quasi a rimarcare l'assoluta esigenza di un'evoluzione dei contenuti. Ciò nonostante, sono stati fugati i dubbi circa la comprensibile paura che quel magico alone prettamente "gtaiano", il quale propone un mix di satira e grottesco, possa scomparire: queste componenti rimarranno vive e presenti nel prossimo episodio – e non avrebbe potuto essere altrimenti, aggiungo io. Altro elemento, ancora più autorevole a mio avviso, in relazione a questo cambio di corrente, va rintracciato, a sua volta, in alcune piccole cose. Ho sempre sostenuto che lo snaturare talune componenti essenziali della serie avrebbe giovato (come difatti è stato) ad allargare la cerchia di fruitori – cosa peraltro lecita – rischiando però di "porre nel dimenticatoio" coloro i quali sono sempre rimasti soddisfatti di certi punti essenziali, rimanendone in un certo qual modo legati (ed io chiaramente mi annovero tra queste fila). Andiamo per gradi. Nei primi GTA (sino al 2) l'idea della scalata per poi arrivare alla tanto agognata vetta del potere criminale della città era totalmente estranea. Il protagonista impersonava un mercenario, senza uno straccio di retaggio storico, quasi fosse buttato lì per caso, al soldo di chiunque fosse disposto a pagare per ricevere i suoi servigi, verso i quali molti erano interessati e per i più svariati motivi. Un "senza nome" (letteralmente così in GTA 2) capace di fare la differenza, l'unico al quale ci si poteva rivolgere per determinate questioni "scottanti", consci anche del suo disinteresse circa qualsiasi "arrampicata sociale" in ambito criminoso. Il sistema era quanto mai semplice ed efficace: si veniva contattati tramite una comunissima cabina telefonica in un luogo pubblico, si riceveva il lavoro, lo si svolgeva e si otteneva il corrispettivo per le nostre prestazioni… oggigiorno ritengo che questo schema costituisca un esempio di funzionalità e genialità incomparabile. Senza stare a soffermarci più di tanto su come le cose siano cambiate da GTA III in avanti, mi sembra doveroso sottolineare come talune sfaccettature, tutt'altro che di secondo piano, tipiche dei predecessori, siano state soppiantate da nuove implementazioni. Il processo non è stato immediato, né tanto meno violento, anche se col Vice City questa ventata innovativa si è manifestata in maniera decisamente più esplicita, per poi essere donata in eredità a San Andreas, titolo che, in tal senso, ha portato a compimento tale processo. Probabilmente ci si è resi conto – anzi, ne sono convinto – che per accettare determinati e allettanti compromessi, ciò che col tempo è venuto clamorosamente meno è quello spirito che più di ogni altra cosa ha sempre contraddistinto la serie, qualcosa di difficilmente esprimibile in poche parole ma di cui possiamo dare una vaga idea in breve mediante le righe che seguono. Sostanzialmente ritengo che alla Rockstar abbiano compreso che, come sovente accade, per attuare un vero progresso, bisogna rimanere saldi nelle tradizioni. Sia chiaro: io sono per il progresso della serie e sono sempre stato a favore di questo processo nella misura in cui sia "reale", non fittizio e pretenzioso. Difatti prima parlavo di cambiamenti, intesi quasi come stravolgimenti, cosa che, con discreto piacere, suppongo non si possa dire relativamente a quanto per ora sappiamo di questo nuovo GTA. In questo caso è più appropriato parlare di "evoluzione", dove questa trae spunto da qualcosa di già esistente e non è pensabile senza di essa. Ecco allora venir fuori, anche se in maniera un po' più pallida, quell'eccezionale sistema di cui sopra, a seguito di una gestione delle missioni attuata mediante un cellulare, elemento (a quanto pare) davvero essenziale in questo gioco. Questa è evoluzione: dove prima c'erano le cabine telefoniche, adesso, nel 2007, è più coerente e plausibile essere reperibili attraverso un telefonino, con la possibilità, tra l'altro, di gestire anche situazioni extra-lavorative. In futuro, chiaramente, bisognerà capire come è stato implementato tale sistema e quali ripercussioni avrà sulla storyline, ma concedetemi pure di fantasticare… Quanto alla location c'è poco da dire: New York sembra essere, nell'immaginario degli sviluppatori, la città ideale per Grand Theft Auto, senza possibilità di smentita. La cura per i dettagli traspare a più riprese dai trailer e dai numerosi screens rilasciati, aspetto questo tenuto sempre in grande considerazione dalla Rockstar, il cui intento principale è proprio quello di far "vivere" il gioco. Basti dare uno sguardo agli edifici, alle insegne, ai marciapiedi… la città vive già di vita propria perché densa di particolari anche se riconducibili a innumerevoli persone che fungono da contenuto di questo pregiato contenitore. Anche relativamente alla gente, cuore pulsante dell'intera esperienza, pare esserci poco da dire; non godono probabilmente della stessa cura riservata a tante altre componenti, ma siamo stati rassicurati circa una maggiore coerenza e un maggior realismo, effetto anche di un'alternanza decisamente più verosimile della notte e del giorno, con una Liberty pullulante della multirazziale gente che la abita nelle ore diurne, e una calma giustificabile e necessaria nelle ore notturne. Anche questi sono aspetti che avremo modo di appurare con più attenzione in sede di gioco, per ora limitiamoci a speculare. E allora speculiamo pure sul perché Liberty City, scrutando ciò che si cela dietro il nome in sé. Se c'è qualcosa di cui un GTA non può assolutamente fare a meno - pena non essere considerato tale - è il totale senso di libertà, espletabile in più maniere: libertà di muoversi, libertà di agire, libertà di decidere, ecc.Forse il ricorso, per la quarta volta, a questa città simboleggia l'intento, mai taciuto (anzi!) di dare un'idea su quale siano le vere intenzioni dei programmatori nel proporci il loro lavoro, come se ci dicessero: "nel nostro gioco sono davvero poche le cose che non puoi fare e per di più a causa della sua natura" – quella cioè di essere nient'altro che un videogioco. Non è un caso che in ogni GTA che ha inaugurato la sua comparsa su di una nuova piattaforma, Liberty City è sempre stata presente: GTA (PC/Play Station), GTA III (Play Station 2), GTA Advance (Game Boy Advance), GTA Liberty City Stories (PSP) e adesso GTA IV (PS3/Xbox 360). Senza contare che ad essa si fa riferimento anche negli altri episodi, successivi a GTA III, in cui più volte viene menzionata e nella quale addirittura si può svolgere una missione, come nel caso di San Andreas (trattasi della missione "Saint Marks' Bistro" disponibile presso il Casinò Caligula di Las Venturas). Insomma, l'amore e l'affetto spropositato nei riguardi di questa specifica location è troppo evidente, e non penso ci sia bisogno di prodigarsi in ovvietà quali quella di affermare che ciò non può che deporre a nostro favore – volete mettere la resa di un lavoro in cui il grado di passione infusa è esponenzialmente maggiore? In chiusura intendo apporre come sigillo di questa nostra analisi un'ulteriore piccola considerazione, anche ad uso e consumo di chi legge, magari nella speranza che lui stesso affronti questa piccola questione. Personalmente, lo ammetto, sono stato uno tra quelli che non hanno fatto i salti di gioia una volta svelato il nome della città che avrebbe fatto da sfondo a GTA IV. Ciò che in particolar modo ho trovato discutibile riguarda la scelta di proporre una sola città, anche se immensa. Tale critica trova il suo fondamento alla luce del fatto che, se GTA San Andreas vinceva alla grande in qualcosa, ebbene, questo avveniva nella geniale disposizione della superficie di gioco. Non rileva ai fini di questo discorso l'ampiezza in sé, quanto la geniale idea di aver diviso l'intera area in tre città con zone limitrofe annesse – anche se ovviamente va da sé che per fare ciò ci fosse bisogno di un'area molto vasta. Per ricollegarmi al discorso di prima: in un gioco sommerso dal marasma di "cambiamenti/stravolgimenti" l'unica vera "evoluzione" era rappresentata da questa brillante idea, che poteva sicuramente trovare terreno fertile in questo nuovo episodio e che invece è stata malamente accantonata. Alla lunga magari non se ne sentirà un'eccessiva mancanza, ma ritengo sia indispensabile prendere, al momento dei bilanci e della successiva selezione di cosa possa funzionare e cosa meno, quanto di buono sia stato fatto e, almeno sotto questo aspetto, GTA San Andreas è davvero impareggiabile. A questo punto direi che si possa realmente chiudere… che dire? Mi sembra superfluo rimarcare l'assoluta soggettività di quanto scritto sopra, condivisibile o meno che sia; a fronte di talune particolari considerazioni però - comunque suscettibili di qualsivoglia dibattito - suppongo di aver fornito anche dei validi spunti leggermente più obbiettivi, ma anche in questo caso... "se ne può sempre discutere". Non mi resta anche a me che attendere nuove info, specie riguardo la data di rilascio, per poi magari stilare un'ulteriore articolo ma stavolta conmaggiore cognizione di causa.
Alla prossima.