Tuesday, 9 March 2010

La caduta di Cing: perchè Nintendo resta a guardare?

Assistere alla triste dipartita di Cing nelle ultime ore è stato qualcosa di triste ed amareggiante. Realtà tra le più interessanti nel panorama e nella ludografia Nintendo, questa piccola software house di Fukuoka si affidava ad uno staff di soli 29 dipendenti per produrre esperienze di gioco originali, meticolosamente studiate ed avvincenti a fronte di budget molto ridotti: ricordiamo in particolare la bellezza di Hotel Dusk: Room 215 e del suo universo decisionale (qualcuno lo ha addirittura definito un Heavy Rain ante litteram, descrizione che trovo poco pertinente), o l'elegante e spensierata lettura del genere strategico offerta in Little King Story per Nintendo Wii.

Date le dimensioni dello studio, sorprende poco il fatto che un debito da 2.5 milioni di dollari sia bastato a determinarne la bancarotta; desta perplessità, al contrario, l'immobilismo di Nintendo di fronte all'accaduto. In termini strettamente commerciali, la scarsa redditività di Cing costituisce un giustificato motivo di astensione da parte di eventuali finanziatori; parliamo tuttavia di un team che nonostante gli scarsi mezzi a propria disposizione ha dimostrato di avere grande talento, e meritava pertanto di essere sostenuto dal suo principale cliente in un momento del genere.
Ciò che mi domando è: può la Grande N continuare ad assorbire il totale dei propri guadagni, lasciando a sé stesse le terze parti impegnate sulle sue piattaforme? Penso ai casi di SEGA, Rockstar ed Electronic Arts, che hanno rinunciato a produrre titoli tradizionali su Wii in seguito al fallimento delle rispettive esperienze; nella loro sfortuna, questi produttori hanno pur sempre la possibilità di dire "ok, l'esperimento non ha funzionato, torniamo a produrre ciò che su questa piattaforma funziona davvero". Così non è per le piccole realtà come Cing, particolarmente bisognose di un'adeguata esposizione pubblicitaria per i loro prodotti.

Ritengo quindi opportuno che Nintendo appronti delle misure di sostegno agli sviluppatori meno abbienti, in maniera tale da favorirne la crescita e - perchè no? - la fidelizzazione. Ma c'è un ulteriore aspetto per cui credo valga la pena di agire in questo senso: i grandi produttori non possono limitarsi a seguire le tendenze del mass market, rifuggendo dalla necessità di indirizzare il pubblico verso prodotti realmente meritevoli. In quest'ottica, il supporto a piccoli gruppi di sviluppo dotati di grande creatività ed esperienza produttiva è fondamentale

Le sorti occidentali di Last Window sono in bilico. Riusciremo a vestire nuovamente
i panni di Kyle Hyde?

Monday, 1 February 2010

I delicati equilibri di Shenmue III


Proprio ieri, SEGA ha lanciato un appello ai produttori di console garantendo l'esclusiva di Shenmue III a chi si offrirà di finanziare in toto il progetto. Un invito rischioso ed anche un bel po' sfacciato, se vogliamo, ma sufficiente a riaccendere nei giocatori (me ed Antonio in primis) una scintilla di speranza.

Mentre attendiamo che Sony, Microsoft e Nintendo decidano sul da farsi, mi prenderò la briga di valutare quali sarebbero le implicazioni di un recupero del franchise al giorno d'oggi; di fatto, parliamo di un marchio che pur essendo ampiamente riconosciuto nell'ambito della subcultura videoludica (davvero pochi giochi, all'epoca di Shenmue, potevano dirsi altrettanto ambiziosi e coinvolgenti), ha disatteso in modo clamoroso i suoi obiettivi commerciali e dovrebbe pertanto ripartire da una posizione piuttosto complicata.

Shenmue ha all'attivo due episodi, entrambi fortemente strutturati dal punto di vista narrativo. Nell'intento di concedere a Yu Suzuki tutto lo spazio espressivo necessario a realizzare la sua visione, SEGA non ha mai posto un tetto massimo agli episodi da realizzare, sicchè l'avventura del giovane protagonista si dipana secondo i ritmi stabiliti in origine dal suo autore: in numerosi frangenti, la vicenda dilata i suoi tempi incoraggiando il dialogo con la gente, la contemplazione dei luoghi, la scoperta di interazioni secondarie col mondo. Ci si allontana anni luce dalla concitazione dei giochi moderni, dalle loro mode e regole.

E' pensabile che un tale approccio risulti appetibile alle nuove generazioni, senza dover subire modifiche più o meno profonde? Nei casi di Shenmue I e II, in quanto opere finite, ritengo che la risposta sia un secco "no"; occorrerà attraversare i checkpoint obbligati dei servizi di download, avendo cura di esaltare in sede di marketing gli aspetti più dinamici dei due giochi. Riportare la saga all'attenzione del vasto pubblico dovrebbe essere una priorità assoluta in questa fase, per fare in modo che l'audience conosca e impari ad apprezzare le sue peculiari caratteristiche.

[In uno scenario del tutto ipotetico, SEGA potrebbe ripensare la struttura narrativa del gioco e creare delle rivistazioni dei primi due episodi allineandoli a quella che dovrebbe poi essere la struttura del sequel (ovviamente attenendosi agli eventi principali della trama); sfortunatamente, si tratta di un'opzione sin troppo onerosa per la casa di Tokyo.]

Ciò detto, giungiamo al punto più spinoso della questione, ossia: quale struttura dovrebbe assumere un eventuale Shenmue III. Il feedback del pubblico odierno sulle riedizioni scaricabili sarà fondamentale, ma ritengo che questa saga goda di una caratteristica fondamentale: il suo mondo si racconta da sé. Lo fa attraverso artifici di natura tecnica come il ciclo giorno/notte, il meteo dinamico (che si evolve in modo casuale o seguendo i dati meteorologici della città di Yokosuka nel biennio '86-'87) e le splendide routine di vita dei suoi abitanti; è necessario che questo strato di narrazione implicita, sovrapposto alla storia vera e propria, venga preservato e riproposto con un'attenzione al dettaglio pari a quella dello stesso Yu Suzuki.

Si concorda ormai da tempo sul fatto che Suzuki abbia redatto la sceneggiatura di Shenmue per intero, suddividendola in 16 atti di cui solo 5 (*) sono stati effettivamente trasposti in gioco. Qualora si intendesse concludere la saga al terzo capitolo, sarebbe necessario condensare in esso ben 10 atti e procedere ad una sensibile scrematura della storia; sorge spontaneo chiedersi in che modo procedere.
A tal proposito, ricorderete che il mondo di Shenmue offriva delle piccole attività basate sui Quick Time Events che consentivano a Ryo Hazuki di guadagnare denaro; si trattava di eventi limitati e ripetitivi al punto da non esser più proponibili al giorno d'oggi. Convertendo queste fasi in vere e proprie micromissioni ricompensate sul modello di Ryu ga Gotoku, SEGA troverebbe un escamotage per far riemergere i frammenti narrativi perduti durante la revisione della sceneggiatura. La main story si snellisce mentre il resto non viene cancellato, soltanto reso opzionale.

(*) Si tratta dei capitoli 1-3-4-5 e 6; pare che il secondo sia stato raccontato in un manga mai uscito dal Giappone.

Passando agli aspetti tecnici, una tra le tentazioni da cui SEGA dovrebbe assolutamente rifuggire sarebbe quella di espandere l'area giocabile rispetto a quanto offerto dai due Shenmue per Dreamcast. Semplicemente, non serve: con la potenza delle console odierne, è possibile ricreare ambienti estremamente dettagliati azzerando i caricamenti nel passaggio da un quartiere all'altro, o da una fase all'altra (combattimento, esplorazione, dialogo).
Ancora una volta, la tecnologia di Ryu ga Gotoku costituirebbe la soluzione ideale per trasformare Shenmue in un'esperienza fluida e priva di interruzioni, dunque capace di esprimere il suo massimo potenziale.

In fase di combattimento, una tra le priorità di Yu Suzuki consisteva nel mantenere una complessità paragonabile a quella di Virtua Fighter: l'intento poteva dirsi compiuto nell'ambito degli scontri uno contro uno, mentre affrontare più avversari significava dover scendere a patti con telecamere imperfette e con la totale mancanza di lock-on. L'inclusione di quest'ultimo, congiuntamente ad un sistema di parate e schivate semiautomatiche, aumenterebbe la godibilità dei combattimenti preservando la vastità del parco mosse; eviterei infine di includere colpi contestuali perchè contrari alla filosofia di base del combattimento in Shenmue.

Quanto redatto sinora non è che una serie di considerazioni dettate dal desiderio che realizzando Shenmue III (sempre che una tra le tre potenze del mercato console decida di muoversi in tale direzione), SEGA non dimentichi l'operato del passato e lo riattualizzi in maniera rispettosa. Lasciare le mode fuori dalla porta sarebbe il primo e più importante passo verso la riuscita di un tale progetto.

Wednesday, 20 January 2010

Sull'arte di Dante's Inferno


Mi sembra sia chiaro a tutti che lo sfruttamento del nome di Dante, qui, è solo un ammiccamento intellettualoide da parte di EA.

Si sono già citati diversi motivi per cui il gioco sarebbe già da ora stigmatizzabile, ma come ho ribadito in altre sedi, esisterebbe un solo motivo di interesse nei suoi confronti: questo è proprio l’art style.

Visceral Games si trova tra due fuochi qui, ossia quello di un’opinione pubblica straordinariamente prona allo scandalo, e quello per cui è necessario rendere graficamente il grottesco insito in un luogo che è la quintessenza di tutti i peccati, della sozzura, della perversione e della sofferenza estrema. Tenuto conto del primo, pesantissimo limite, mi sembra che gli artisti si siano ben mossi lungo la linea dell’accettabilmente inaccettabile, con creature sufficientemente ripugnanti ed un preciso concetto alla base del loro design.

La domanda è: serviva tutto questo quando già abbiamo un Silent Hill capace, con solo una manciata di iconiche creazioni (Pyramid Head, le infermiere, gli ammassi di carne simili a bambini), di evocare un terrore infernale ancora ineguagliato? Dico che serviva, si, e che è un peccato vedere i parti degli artisti americani impantanati in un engine ancora fermo alla gamma cromatica di Quake – il primo.
Ogni gioco, a modo suo, è un banco di prova per le capacità espressive del medium e sinceramente sono proprio curioso di vedere sino a che punto si sia voluto osare in Dante’s Inferno.

Potrebbe tutto risolversi in una grossa ed inutile bolla di sapone, come sembra suggerire Gianpaolo (Iglio, ndr), ma spero ardentemente che esista almeno un momento in questo gioco dove ciò che ci sarà mostrato sarà talmente aberrante da bloccarci sulla sedia per qualche secondo.
Sarebbe l’unico momento di redenzione possibile per Dante’s Inferno, e considerata l’ironia della cosa, il suo raggiungimento darebbe a Visceral un piccolo motivo per sorridere d'orgoglio.

Monday, 17 November 2008

Un mistero lungo una notte... ovvero: HOTEL DUSK Room 215


Setacciando nei meandri, nemmeno tanto remoti, della mia memoria, sono andato a ripescare quel piccolo grande gioiello di nome Hotel Dusk. Sarà che inconsciamente (si fa per dire) io senta il bisogno di un'esperienza un tantino più sostenuta di quelle che sto vivendo attualmente con altri giochi; sarà che volevo semplicemente cavalcare l'onda delle nostre recenti pubblicazioni data la nostra latitanza; qualunque cosa sia, eccomi qui a riproporre quanto scrissi sul forum di GameRepublic circa un anno e mezzo fa.

La mia non è una recensione, d'altra parte oggigiorno se si desidera quantomeno farsi seguire sembra indispensabile schiaffare un numero a fondo pagina per definirla tale (ma di questo parleremo in un'altra occasione molto probabilmente). Ciò che ricordo è che, a gioco appena terminato, mi venne una voglia matta di scriverne a riguardo con l'intento di condividere quanto avevo appena finito di vivere. Il risultato è ciò che troverete qui di seguito. Enjoy yourself, come direbbero i più anglofoni!

Nintendo Republic 06/05/2007 19:02:00

Quando ebbi notizia di questo titolo in versione americana qualche mese fa, rimasi alquanto dubbioso, non tanto circa la sua validità - sbandierata più e più volte a chiare lettere da chi di dovere - quanto in relazione alla sua straordinarietà.
Nonostante tutto però, non mi sento di condannare l'attegiamento di molti, i quali, giustamente, dopo un discreto Another Code, e alla luce della natura "atipica" del titolo, hanno preferito tenere gli animi non eccessivamente accesi.

Sta di fatto che ci troviamo dinanzi ad un gioco indiscutibilmente bello, denso di carica emotiva, e in grado di tenere incollato il proprio fruitore ininterrotamente sino alla fine. Sì, perché l'ultima fatica targata Cing riesce ad elargire in termini di trama, sia in qualità che in quantità, ciò che molti giochi - che a tale componente pensano di dedicare un ruolo importante - proprio non riescono a offrire, per quanto possano provarci. Oltretutto, sotto questo aspetto, nulla ha da invidiare ad un qualsiasi lungometraggio di prim'ordine. Non a caso le tematiche trattate sono molteplici, perdipiù in maniera intelligente, anche se il breve soffermarsi su taluni aspetti potrebbero lasciar intendere una vena di "leggerezza" nel proporcele, ma, considerato il contesto, il tutto si intregra con armonia e alla perfezione.

Quella di Hotel Dusk è un'esperienza, e tale elemento è tenuto in dovuta considerazione dagli sviluppatori, considerato il dislivello tra la mole di interattività e quella di mera (ma ugualmente appagante, se non di più) ricezione passiva degli eventi - che si snoda perlopiù attraverso lunghe letture di numerosi ed interessantissimi dialoghi - a favore di quest'ultima.

Ciò non implica un gameplay insulso e superficiale, al contrario, questo è uno di quei giochi che dalla "touch generation" proprio non può prescindere, e il merito è degli sviluppatori se a più riprese, man mano che si procede con la storia, vi accorgerete come sia impensabile su di una qualsiasi altra piattaforma, se non forse sulla sorella maggiore Wii; ma anche una simile possibilità sarebbe da considerare con le molle.

Fatta questa premessa, e chiaro ciò a cui si va incontro, sono del parere che nessun degno possessore di questa 'strana' console debba in alcun modo privarsene.
Lo stile insito in questo titolo poi è un qualcosa che esula da tutto quello che ci è stato proposto sino ad ora. L'idea di presentarci ogni singolo personaggio con quello stile grafico tratteggiato, che trova un eccellente compromesso tra i termini 'fumettistico' e 'noir', dona all'intera vicenda un alone di misteriosità e maestosità inauditi. Di contro c'è un 3D non eccelso, ma che, nonostante il ruolo tutt'altro che marginale che ricopre, non pregiudica granché il tutto.

In altre parole, spesso si è abusato di ciò che sto per scrivere, ma mai come in questo caso è azzeccata la frase: avvicinatevi a questo titolo per viverlo, non per giocarlo... diversamente rivolgete la vostra attenzione altrove.
Se sarà questo l'approccio però, vi assicuro che ne varrà decisamente la pena.

Friday, 14 November 2008

Euforia a parte... una piccola parentesi

In un periodo come questo, in cui si è subissati da una quantità di titoli disarmante, emerge la necessità di chiedersi sino a che punto tanta quantità comporti necessariamente altrettanta qualità. Di certo il fenomeno cui stiamo assistendo in tal senso ha il non indifferente merito di trascinare un’ulteriore fetta di utenza che in questo scenario, se rimasta indifferente ad un titolo, ha sicuramente modo di “ripiegare” su qualcos’altro data la vastità dell’offerta.

Ci si ritrova quindi a chiedersi come mai – nonostante Gears of War 2, Fallout 3, Fable 2, Dead Space e chi più ne ha più ne metta – sembra ancora mancare qualcosa, come una piccola falla che stenta ad essere otturata sebbene il materiale a disposizione pare essere più che sufficiente. D’altra parte simili produzioni vantano indubbiamente una validità che è fuori discussione… ma c’è un però: che li enormi sforzi siano stati indirizzati prevalentemente nel verso opposto a quello che servirebbe attualmente?

Voglio dire, lo sfrenato desiderio di grafica superpompata e finezze tecniche di varia natura sono davvero ciò di cui in questo momento ha bisogno questo settore?
O meglio ancora: basta solamente tutto ciò?
So che a primo impatto potrà sembrare lievemente superficiale come approccio, ma non snobbo affatto l’egregio lavoro svolto da molti sviluppatori e di differenti compagnie; solo mi chiedo se questa loro eccessiva apertura ad alcune logiche di mercato (prima ancora che verso noi utenti) non finisca per confondere loro le idee e “limitarli” in un certo senso.

Ciò che muove quest’industria dovrebbero essere le idee prima ancora che i quattrini, e anche se una simile considerazione possa risultare smielatamente idealista, serve che qualcuno le dica certe cose, mentre qualcun altro prenda fermamente posizione. Ciò che rammarica di più in tutto ciò è assistere ad enormi sforzi profusi nella stessa identica direzione, atteggiamento che finisce con lo svilire anche i lavori più meritevoli. E sia chiaro, le mie valutazioni non riguardano la genuinità della direzione in sé: nessuno mette in dubbio l’esigenza di una grafica sempre più performante, né oso anche solo pensare che se ne possa fare totalmente a meno, ma come dicevano i latini (che la sapevano più lunga di noi), in medio stat virtus.

L’elemento “caramella per gli occhi” non è guasto di suo, ma diventa un problema nel momento in cui incide su altri aspetti, ugualmente importanti e per niente opzionali. Si tratterà magari di percezioni, ma quella del sottoscritto (che pur si sta anch’egli godendo alla grande questo intenso periodo videoludico) è che l’impoverimento delle idee che si va registrando da un po’ di tempo a questa parte sia anche da attribuire all’univoca direzione intrapresa da troppi, che con i “facili” consensi di una forza bruta rilevante in termini grafici, contano forse di risolvere altre magagne – in casa e fuori casa loro.

Tali considerazioni sono mosse anche da un altro fenomeno, decisamente più triste e che stavolta riguarda noi giocatori più da vicino. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma di alimentare stupidi e inconsistenti campanilismi non ho proprio voglia; semmai si cerca di ragionare, anche con l’aiuto di altri. Ebbene, mi riferisco all’atteggiamento che abbiamo assunto nei riguardi di questa generazione e delle tre compagnie che la stanno portando avanti (mi riferisco chiaramente a Microsoft, Nintendo e Sony). Non so come mai, forse perché rincoglioniti da tutta questa esaltante roba, forse perché adesso, grazie anche ad internet, siamo molti di più a parlare, sarà quel che sarà, ma di rado regna il buon senso dalle nostre parti. In certe occasioni portiamo all’esasperazione difetti insiti nell’uomo da che mondo è mondo, producendoci in contraddizioni eclatanti e prese di posizione che sfiorano l’assurdo. Ed è inutile tirarsene fuori, vuoi o non vuoi tutti soffriamo questa antipatica situazione.

Si tratta a questo punto di capire se non siamo noi ad influenzare gli sviluppatori o viceversa, se quel potentissimo mezzo denominato ‘vendite’ sia finora stato adoperato in maniera impropria, oppure se l’indebolimento generale ci stia rendendo ancora più vulnerabili a certe influenze, tale da avallare tesi “complottistiche” che vogliono le Software House quali manipolatori di turno. Qual che sia la verità, è innegabile che certi cori, riproposti puntualmente ogni tot di tempo e in tutti i forum del mondo, non ci incoraggiano a sperare in un cambiamento a breve termine. Per esempio, sembra essere sport diffuso sparare a zero su Sony, e non a torto in fin dei conti: la politica delle promesse non ha mai attecchito più di tanto, e alla lunga, se non degnamente supportata, dimostra la sua profonda pochezza. Per altro verso, ciò che in un simile scenario è venuto meno è sempre stato quel tanto caro buon senso di cui accennavo prima. Chi da un lato difende a spada tratta, chi dall’altro spara a zero come fosse la croce rossa. Questa chiusura costituisce uno scoglio insormontabile ai fini del discorso di partenza se non si cerca di sensibilizzare diversamente certi personaggi. Tra l’altro simili posizioni denotano qualcosa di diverso dello spropositato amore sbandierato in favore di quella o quell’altra compagnia, anzi, comporta proprio l’esatto contrario. Perché se davvero stesse a cuore Sony, per esempio, ci si infervorerebbe non già per le innumerevoli conversioni malriuscite, quanto per il mancato intervento affinché tale situazione cambi. Anche i sassi oramai dovrebbero sapere che la console di riferimento per lo sviluppo parte enormemente avvantaggiata, e che proprio la conversione (anziché un’ulteriore sviluppo separato) decreta la resa di quel prodotto su quella determinata macchina. Eppure queste ovvietà risultano sistematicamente disattese. Insomma, ci si lamenta e a ragione ma, come spesso accade, per i motivi sbagliati.

Senza divagare oltremodo, torniamo a focalizzare la nostra attenzione sulla questione ‘idee’. Nintendo sembra essere unica pioniera in tal senso, e se non altro bisogna riconoscerle il merito di aver intrapreso una strada totalmente opposta a quella dei suoi antagonisti, senza però, paradossalmente, riuscire fino ad ora a portare a compimento l’obbiettivo prefissato. Anche qui entra in gioco il fattore “politically correct”, imponendo implicitamente il silenzio riguardo la palese stasi innovativa che in partenza tanto sembrava florida e promettente. Nintendo ha sdoganato il WiiMote e, soprattutto, il Touch Screen, ecco allora che la sua infallibilità diviene un dogma di fede. Eppure anche questo modus pensandi sembra sortire il medesimo effetto, ossia impedisce di realizzare ciò che diversamente avrebbe già una forma.

In una realtà in cui FIFA insinua quantomeno il dubbio riguardo quale sia la migliore simulazione di calcio, per molti addirittura spodestando il buon vecchio PES, non è così utopistico pensare che da alcuni titoli PS3, prossimi al rilascio e non, passi la più concreta occasione di cui attualmente questo settore dispone per venire fuori da questo particolare momento. Magari proprio mentre veniamo bombardati da uscite di enorme spessore, mentre il portafoglio piange come poche volte abbia mai fatto e mentre ci spertichiamo in elogi verso una così fertile condizione in cui versa il calendario dei rilasci.

La mia non è una profezia, né tanto meno una scontata ed inevitabile verità, ma intendo ugualmente lanciare il sasso, senza peraltro tirare indietro la mano. Non riesco a fare a meno di scorgere ciò di cui questo fantastico mezzo ha bisogno in titoli come LittleBigPlanet ed Heavy Rain, non nell’ennesimo sparatutto come Killzone o in un accattivante RPG di stampo orientale come White Knight Chronicles. Capisco che in un’era in cui in troppi condividiamo la filosofia del “tutto e subito” risulti difficile guardare al di là del proprio naso, ma solo il ragionare in prospettiva può riportare in auge le premesse che hanno sempre contraddistinto il ‘videogame’. Sperimentazione, innovazione ed evoluzione: queste sono le tre parole chiave cui gran parte dei titoli dovrebbero attenersi, cercando di assecondarle nella maniera più consona.

Oggigiorno, però, ritornare a questo spirito sembra essere controproducente (per la tasca chiaramente), e se anche in quel di Kyoto ci si guarda allo specchio compiaciuti a tal punto da credere di aver dato abbastanza, allora è nostro “dovere” guardare altrove speranzosi.

Sunday, 2 November 2008

MTE - Modern Times Event

Uno sguardo alla sperimentazione di Quantic Dream che ridefinirà il concetto di hardcore gaming.

1 - Abstraction Layer
L'industria del videogioco ha carattere eminentemente conservatore; del resto, lo sono tutte le produzioni di consumo. Per questo non ho difficoltà nel comprendere da dove nascano le critiche rivolte a prodotti come Fahrenheit.
Ci sono cose che l'opera di Quantic Dream fa molto bene, come lo sfruttamento degli stick analogici per mimare l'esecuzione di semplici interazioni ambientali; una piccola trovata dal valore molto meno triviale che in apparenza.

Accadimenti più complessi sono invece governati dai Quick Time Event, che pesano sensibilmente sulla meccanica del gioco e sono stati accolti dal pubblico con minore entusiasmo.
Il motivo per cui il pubblico percepisce come problematico questo approccio al gioco, consiste probabilmente in quello che amo definire "
livello di astrazione". Con questo termine imprestato dall'informatica faccio fondamentale riferimento a due concetti:

a) il grado di semplificazione che si deputa in fase di game design a certe azioni
b) il grado di controllo attribuito al giocatore sull'esecuzione di un atto

E va da se che il punto (b) discenda direttamente dal primo.

Un Pro Evolution Soccer rinforza la sensazione che quella splendida "rabona" con goal annesso fosse proprio opera nostra, e non di un automatismo. Il successo del titolo sportivo Konami, in questo senso, deriva dalle specificità del tema trattato: bisogna sapersi muovere con arguzia e creatività tattica all'interno di un set di mosse prestabilito, le nostre azioni generano varianza in un contesto essenzialmente rigido.

L' effetto collaterale del QTE, al contrario, consiste nel far sentire l'utente parzialmente "derubato" di un atto che avrebbe potuto compiere in maniera più articolata, e quindi più propria; una sensazione simile a quella generata dall'abbondanza di scene non interattive, come accade in Metal Gear Solid. Le avventure di Snake si collocano dunque ad un livello di astrazione più alto rispetto a quello di PES.

2 - Vecchi problemi e nuovi sentieri
A tal proposito, il messaggio di David Cage e - in forma più estrema - Hideo Kojima è essenzialmente "live with it", "fatevene una ragione", perchè esistono situazioni che l'attuale configurazione del videogioco non può efficacemente descrivere. E questo è particolarmente vero per i giochi che desiderano raccontare qualcosa: in una storia di fantasia non c'è limite a ciò che può accadere, quindi il livello di astrazione raggiungibile può essere elevatissimo.

Il problema dell'astrazione è tanto concettuale quanto funzionale. Uno degli scogli più grandi del videogioco consiste nella necessità di mantenere un punto di vista sull'azione il più possibile univoco durante tutta la durata dell'esperienza. Prima persona, terza persona, visuale laterale, top-down: la costanza della prospettiva risponde all'esigenza di esercitare nel miglior modo possibile le mosse contemplate dal game design, ma appiattisce la componente fondamentale del dramma nei generi che più ne abbisognano.
In un'esperienza spiccatamente visiva quale è il videogioco, il cambio di prospettiva è uno strumento espressivo a dir poco fondamentale, ed è difficile istruire in tempo reale il giocatore su quanto di imprevedibile una storia può chiedergli di fare. I modelli della telecamera unica e della rigida mappatura dei comandi sul pad sono limiti notevoli in questo senso.

Per questo motivo Heavy Rain è strutturato nel modo che abbiamo visto: il nuovo prodotto firmato da Quantic Dream ha come scopo principale quello di raggiungere il perfetto equilibrio tra astrazione e comando diretto, per massimizzare l'efficacia del racconto senza sacrificare la decisionalità dell'utente. Si tratta di dotare il videogioco di una vera e propria regìa, cosa che sin troppo raramente avviene al giorno d'oggi.

Piaccia o meno, questa è una tra le direzioni più affascinanti che il videogioco moderno sta intraprendendo. Heavy Rain non prende di mira l'utente per il quale il brivido più grande consiste in un headshot ben piazzato, non insegue trivialità hardcore: è un sentiero nuovo emerso nel fitto sottobosco del videogioco, orientato più di altri nella direzione dell' arte.

Friday, 17 October 2008

L'immagine del videogioco

Rispondendo ad un interessante post di Giuseppe "Joe Slap" Puglisi sul sito Ars Ludica.org (http://arsludica.org/2008/10/16/la-vergogna-di-mostrarsi/#comment-14328), mi son trovato a riflettere intorno al perchè la percezione pubblica del videogioco continui ad essere tendenzialmente negativa.
Trovo che il modo migliore per affrontare l'argomento sia quello di mettersi nei panni di chi ci guarda mentre esercitiamo il nostro hobby preferito, e delle idee che costoro possono maturare indipendentemente da ciò che accade su schermo: è più facile attirare l'attenzione di una persona partendo dagli effetti di ciò che facciamo, piuttosto che cercando di indottrinarla su qualità non esplicite.



"Mi occupo di business planning presso un’azienda di information technology in franchising, mentre la mia passione è l’ interactive entertainment. Semplice, no?

Aldilà della facilità con cui ci si può nascondere dietro termini astrusi, credo che il problema consista principalmente nel convincere la gente che “videogiocare” non equivale a “star seduti dinnanzi ad uno schermo per ore scatenando massacri, esplosioni e fracasso”… Perchè è questo che i nostri genitori sentono e vedono quando entrano in stanze nelle quali, magari, siam stati chiusi a lungo: abbiamo rinforzato in loro l’associazione tra il nostro passatempo e un’idea di (acusticamente) disturbante immobilità. La pubblicità di settore, dal suo canto, non si è quasi mai preoccupata di dissociare le due cose prima dell’avvento di Wii e DS.

Il successo delle recenti console Nintendo verte su un interrogativo che la casa di Kyoto ha attentamente vagliato: “Serve un nuovo modo per stimolare la curiosità dei consumatori, cosa dobbiamo fargli vedere?” Nintendo ha dunque spostato il baricentro della propria pubblicità dal software ai suoi “effetti collaterali”: i gesti della battuta nel tennis, dello swing nel golf, del colpo verso l’alto per far saltare Mario hanno spazzato via quell’idea di immobilità di cui parlavamo prima (in maniera più o meno ingenua ed efficace, si potrebbe obiettare, ma questo è un altro discorso). Vista dall’esterno, un’interazione indiretta tende ad apparire comunque passiva. Adesso invece c’è movimento, fattualità, e quindi interesse.

La dove esiste un pregiudizio come quello descritto all’inizio, il modo migliore per promuovere un videogioco consiste nel NON parlarne direttamente. Piuttosto, si circumnaviga l’argomento per portare l’interlocutore gradualmente al punto.
Non si può pensare di indottrinare la gente alle virtù del videogame - ed in special modo quelle non esplicite, come la qualità della narrazione - mettendola di fronte ad un pur scintillante
Gears of War, insomma.

Nintendo e le sue piattaforme hanno mosso un passo importante nella direzione che vorremmo, ossia quella descritta da Joe nel suo intervento. Presa coscienza dell’efficacia dell’approccio, nonchè dei suoi lati negativi (l’invasione di software qualitativamente risibile ed inutile, in primis), non ci resta che ringraziare Nintendo e pregarla di portare avanti il discorso nel modo più virtuoso. Lei o chi per lei.

Attendendo che la “rivoluzione gestuale” si compia del tutto, possiamo sempre rivolgerci a David Cage ed ai magnifici concetti che animano Heavy Rain sui più tradizionali lidi di PlayStation 3: magari il loro valore sarà evidente solo ai giocatori più smaliziati e meno superficiali, ma daranno un’ulteriore prova di maturità del videogioco in quanto mezzo di comunicazione, nel senso più ampio del termine."